Ristorante Scala a Portopalo di Capo Passero (SR): delusione inattesa
Ci siamo recati al Ristorante Scala a Portopalo di Capo Passero (provincia di Siracusa) con le migliori aspettative: dopo averci cenato, siamo invece tornati a casa profondamente irritati per la sua modestia, con la sgradevole sensazione di avere buttato via una sera della nostra vita.
A convincerci a provarlo erano state le segnalazioni sia della guida alle osterie d’Italia di Slow Food che di quella pubblicata dal quotidiano La Repubblica, oltre a una serie di recensioni sparse e a una discreta fama di cui gode nel territorio. A incoraggiarci, anche una telefonata con il titolare, il quale ci aveva promesso che ci avrebbe raccontato tutto sulla cucina portopalese di cui invece poco o niente si sa in giro, annunciandocela come ricca di ricette.
Arrivati sul posto, chiediamo del titolare, per essere guidati nella scelta dei piatti, nella speranza che ci indicasse quelli più antichi e tipici. Il giovane cameriere che ci accoglie già a questa richiesta comincia a vacillare, sibilando con poca convinzione che lo avrebbe chiamato e che sarebbe certamente venuto al tavolo. Non accadrà, invece. Sintomo negativo di ciò che ci attendeva: non mantenere una promessa è un grave atto stigmatizzato da tutti nella vita quotidiana, ma diventa una mancanza inaccettabile quando accade in un locale in cui si offrono servizi a pagamento.
Il nefasto prologo si conferma nel momento delle ordinazioni.
Chiediamo a ben due camerieri quali siano queste vagheggiate ricette tipiche di Portopalo: fanno scena muta, cascando dalle nuvole. Poi si arrampicano sugli specchi cercando di dirmi che in fondo tutti i piatti del ristorante sono consueti nella zona, ma senza alcuna argomentazione valida né riferimenti storici e culturali.
Non va meglio quando chiediamo lumi sui vini. Una prima cameriera afferma candidamente di non sapere niente sui vini in carta e ci rimanda a un altro cameriere che sarebbe quello edotto in enologia. Questo ci mette talmente tanto ad arrivare al nostro tavolo che nel frattempo sono già arrivate alcune portate degli antipasti senza che si abbia la possibilità di bere. Il locale è pieno, ma certi disservizi non sono ammissibili, perché rovinano una cena.
Purtroppo riscontriamo che sui vini in carta ne sappiamo più noi del cameriere che sarebbe l’esperto, quindi scegliamo in autonomia, dopo avere atteso a lungo e inutilmente un consiglio. Scelta che ricade sullo Charlotte di Rudinì, modesta espressione del vitigno Grillo, ma comunque in grado di accompagnare un pasto a base di pesce. Una conferma di una carta con qualche vino interessante (ma nel nostro caso non disponibile) e molta banalità, vedi la pagina dedicata ai vini commerciali di Planeta.
Per il pasto invece ci fidiamo del consiglio di prendere un antipasto misto e uno di crudo.
Ottima la ghiotta di Palombo, buona l’insalata di sgombro e pomodorini, corretto il fritto di pesce, media la caponata; crudo valido ma non ricco nella quantità. Immancabili i Gamberi di Portopalo: nella norma quelli rossi, eccezionali come sempre i gamberetti rosa.
Non si può dire che i sapori fossero deludenti, eppure ci si è sentiti assaliti da un senso di insoddisfazione: era chiara la sensazione di portate organizzate a compartimenti stagni, gestite con freddo piglio da catena di montaggio, come quelle dei matrimoni con i piatti già pre-impostati.
Una sensazione clamorosamente confermata quando siamo andati a vedere uno dei due siti in cui è presente il locale, appartenente a un gruppo che opera anche e soprattutto nell’ospitalità alberghiera (www.ristoranteportopaloscala.it). Ebbene, scorrendo la pagina dei piatti del locale, abbiamo avuto un soprassalto, perché abbiamo visto le stesse pietanze portateci in tavola, con la medesima disposizione nel piatto.
Se ne è ricavato che si tratti di una sorta di format sempre uguale, togliendo ogni fascino e calore al locale.
Conferma di ciò è arrivata quando abbiamo chiesto una mezza porzione di un primo, per poterlo provare. Ci è stato opposto un netto rifiuto. Abbiamo cortesemente invitato il cameriere a rivolgere preghiera al cuoco di poterci fare la cortesia di avere la mezza porzione, ma in risposta abbiamo ricevuto ancora un secco “no”, senza alcuna motivazione.
Una cosa del genere ce la saremmo aspettata da un ordinario ristorante per turisti, non da un locale presente dalla guida Slow Food, la quale dovrebbe porre attenzione anche al lato umano di un luogo di ristorazione. Quando una cucina di un ristorante è totalmente espressa, non esiste un cuoco al mondo che neghi una mezza porzione, perché ci vuole un attimo a farlo e al locale non arreca alcun danno né perdita di tempo.
La presenza nella guida alle Osterie d’Italia di un locale in cui si assiste a una simile gestione, rappresenta una macchia sulla credibilità dei responsabili isolani che si occupano dell’inserimento nel volume dei ristoranti siciliani. Questo locale è quanto di più lontano dallo spirito umano, empatico e culturale promosso da Slow Food.
C’è da riferire sui secondi.
E’ arrivato prima un tonno alla griglia troppo cotto, addirittura con delle bruciature nei solchi lasciati dalla griglia, con il risultato di una carne troppo asciutta dentro, oltre che in difetto di sale.
La Cernia ci era stata indicata come possibile ricetta portopalese: ma i suoi ingredienti sono pomodorini, patate e capperi, mentre la guida Slow Food riferisce come condimento tipico di Portopalo quello con capperi, olive e pomodoro. Dunque il cameriere ci ha dato una notizia sbagliata? O l’errore è della guida? Comunque sia, il contorno risulta gustoso, mentre la cernia è totalmente priva di gusto endogeno.
Avremmo voluto riferire di un contorno di pomodoro, ma purtroppo non è mai arrivato.
Conto: 25 Euro per un antipasto e un secondo, vino escluso. Decisamente eccessivo, soprattutto alla luce dell’esperienza negativa vissuta.
Al momento di pagare, le battute di spirito poco efficaci di un’esponente della famiglia dei titolari sono apparse evitabili e involontariamente irridenti: la convivialità la si costruisce fin dall’inizio e la si mantiene per tutto il tempo, ma con ben altri criteri di gestione e con atti concreti.
Ci fossimo trovati a Venezia o sulla riviera adriatica, regno dei ristoranti turistici sbrigativi, ci saremmo passati sopra, ma in Sicilia si fa fatica ad accettare di vivere una simile delusione in un locale a un passo da uno dei mari più belli e pescosi del mondo.
Vista la vantata freschezza della materia prima e qualche buono spunto in cucina, ci si augura che questo locale si ponga al più presto all’altezza della sua fama e provi a meritarsi quanto Slow Food per adesso troppo generosamente gli ha tributato: i gestori non avrebbero nulla da perderci, la Sicilia e chi la ama invece tutto da guadagnarci.
Info: www.scala-sicilia.com