Erbamat, nuova vite di Franciacorta: primo assaggio esclusivo da Berlucchi
Il recupero e l’introduzione di un antico vitigno autoctono nel cuore di un moderno impero enoico fondato su uve internazionali, rappresenta un evento culturale e insieme un atto di responsabilità sociale, soprattutto se si tratta di quella Franciacorta che sull’assioma del vino fatto “alla maniera dei francesi” ha costruito un poderoso sistema commerciale che sembrava così coriaceo da non contemplare possibili aperture nel rigoroso disciplinare della sua cinquantenaria Doc.
La notizia dell’inserimento di un nuovo vitigno in questo contesto pertanto già ha fatto sobbalzare per la sorpresa, ma quando si è appreso che si tratta di un autoctono strettamente locale con secoli di storia nel territorio, tutto ha assunto il sapore di una piccola grande rivoluzione. Perché il vitigno in questione si chiama Erbamat ed è rigorosamente bresciano, dato che la sua presenza sulle colline della Franciacorta è attestata già nel 1564 dall’agronomo Agostino Gallo nel suo volume Le dieci giornate della vera agricoltura e piaceri della villa, in cui questa uva veniva chiamata Albamatta.
Attingere a una realtà biologica con oltre cinquecento anni di storia da parte di una realtà produttiva di poco più di cinquant’anni ha una serie di importanti implicazioni che trascendono il mero ambito vitivinicolo.
Il recupero del vitigno ha la medesima importanza di una clamorosa scoperta archeologica, di quelle che ridisegnano la scansione del tempo antropico e ridefiniscono la Storia di un territorio e della sua comunità.
E’ innanzi tutto un atto di tutela della biodiversità. Non a caso scaturisce da un’intensa attività di ricerca qualificata, a partire da quella del Centro Vitivinicolo svolta oltre venti anni fa per approdare a quella più recente dell’Università degli Studi di Milano.
L’Erbamat come testimone del Tempo provvede quindi a riannodare i fili con un passato glorioso e a riportarlo all’attenzione generale, dato che tracce certe di viticoltura in Franciacorta risalgono all’epoca preistorica e sono poi suffragate dagli scritti di importanti storici in epoca romana.
Senza dimenticare che fu un medico bresciano, quindi autoctono anch’egli, di nome Gerolamo Conforti, uno dei primi a trattare il tema della fermentazione in bottiglia per la spumantizzazione, già nel 1570, nel suo Libellus de vino mordaci. Significativo notare che ciò avveniva prima della creazione dello Champagne, svelando così che in Franciacorta la spumantizzazione ha radici prettamente locali che l’Erbamat, già presente a quel tempo, aiuta a sedimentare nella memoria come nel presente in fieri.
Il ritorno alla vita attiva di Erbamat è anche una forma di risarcimento verso la vera identità romantica della Franciacorta, quella scomparsa con la conquista dei suoi terreni da parte degli alloctoni, all’inizio per contrastare la devastazione dei vigneti da parte della fillossera alla fine dell’800, combattuta introducendo uve internazionali più resistenti, ma anche maggiormente redditizie, concetto poi estremizzato nel cuore del secolo scorso con la programmatica scelta di viti al solo dichiarato scopo di fare business.
Senza dimenticare però un nobile antefatto che vede nella storica figura ottocentesca del ribelle e bizzarro conte Ignazio Lana l’introduzione nel territorio di Borgonato, oltre che del baco da seta, pure di vitigni francesi.
Per quanto contestabile sul piano ideale, l’abbandono di cultivar meno produttive a favore di altre più generose rimane un’azione legittima, perpetrata da sempre e ovunque da tutti gli insediamenti umani, per quella vocazione innata a trarre il maggiore vantaggio possibile dalla terra, un tempo per la sussistenza, oggi per le regole dell’industria agro-alimentare. Ma se era ammirevole la prodigiosa affermazione commerciale del Franciacorta e l’acquisizione del suo status di eccellenza anche fuori dai confini nazionali, tuttavia si sentiva la mancanza di un’anima, di qualcosa che andasse oltre le regole del profitto per sublimarsi invece nelle ragioni del cuore. Erbamat è tutto questo.
E’ la risposta a chi tacitamente, con sofferenza, guarda(va) alla Franciacorta come a una enclave enologica di un Paese straniero, una zona che aveva abdicato all’italianità per omaggiare un sistema nato altrove, quasi fosse una resa culturale, difficile da accettare nella nostra nazione che per numero di vitigni autoctoni surclassa ampiamente la Francia.
Certo, per adesso si tratta di un timido inserimento nel disciplinare, con una possibilità di utilizzo facoltativo massimo del 10% nella base ampelografica del Franciacorta e del Franciacorta Rosè, con l’obbiettivo tecnico “di ottenere un prodotto in cui l’Erbamat dia un contributo anche in termini sensoriali e gustativi ma che allo stesso tempo consenta di preservare le caratteristiche del Franciacorta così come è apprezzato e conosciuto dal mercato nazionale e internazionale”, come si apprende dal sito del Consorzio (http://www.franciacorta.net/it/viticultura/vitigni/).
“I principali motivi che hanno mosso questo significativo progetto sono da ascriversi a due temi principali”, spiegano ancora dal Consorzio, ovvero “la volontà di recuperare una maggiore identità e diversificazione del prodotto grazie ad un approfondito legame con il territorio e la necessità di mitigare gli effetti del cambiamento climatico specie su uve precoci come lo Chardonnay e i Pinot”.
Insomma, poesia e pragmatismo fuse insieme, come nelle più virtuose forme di imprenditoria, quelle attente a un positivo sviluppo della brand awareness e all’implemento di una buona reputazione aziendale.
“Le aziende attualmente coinvolte nel progetto”, informa ancora il Consorzio, “sono: Barone Pizzini, Cà del Bosco, Castello Bonomi, Ferghettina, Guido Berlucchi, Ronco Calino”.
Alla luce di questi accenni di lirismo bucolico, la nuova vita dell’Erbamat diviene così un atto di pacificazione con chi ha pensieri radicalmente diversi rispetto alla filosofia produttiva del Franciacorta, come chi scrive, tendendo la mano agli estremisti del vino come atto culturale (sempre come chi scrive…) e dimostrando che gli opposti possono se non attrarsi, almeno dialogare e trovare un terreno comune.
Un terreno come quello in cui vegeta a meraviglia il vigneto di Erbamat sulla suggestiva collinetta della Guido Berlucchi posta, geograficamente e metaforicamente, al centro della Franciacorta.
E’ affascinante pensare che in questa cantina in cui è letteralmente nato il Franciacorta oggi stia rinascendo una perla enoica come l’Erbamat. Sintomo che la curiosità, il coraggio, la competenza, l’illuminazione e la visione del futuro che vanno riconosciuti alla famiglia Ziliani sono più vivi che mai.
La prima vendemmia strutturata di Erbamat da parte della Guido Berlucchi è avvenuta nello scorso mese di settembre inoltrato, trattandosi di una varietà che matura tardivamente rispetto alle altre uve del disciplinare. Per la precisione “matura da metà settembre a ottobre, un mese dopo lo Chardonnay e il Pinot Nero” ha spiegato Arturo Ziliani, enologo e AD della Guido Berlucchi, aggiungendo che “si propone quindi come una delle risposte franciacortine al cambiamento climatico”, perché “le microvinificazioni degli anni scorsi hanno evidenziato acidità bilanciata, profumi floreali e buona longevità”, peculiarità che rendono l’Erbamat “una varietà sulla quale investire per il futuro del territorio, attingendo dalla tradizione contadina locale”. Frase quest’ultima che testimonia la sincerità di un afflato che, lo ammettiamo, non ci saremmo aspettati da un’azienda delle dimensioni di Berlucchi, apparentemente votata alla grandeur del sistema commerciale di cui è protagonista e invece depositaria di una spiccata sensibilità agreste.
Ancora più sorprendente tutto ciò se si pensa al modo in cui il Franciacorta si comunica all’esterno, facendosi percepire come status symbol della upper class quando invece “il sogno di Franco Ziliani non era certo il superamento di un mito inconfutabile, bensì la democratizzazione di un prodotto nobile, con un giusto rapporto qualità-prezzo”, come si legge nel volume Berlucchi 1961 – 2011. Sogno e realtà. Franco Ziliani, pioniere in Franciacorta, di Decio Giulio e Riccardo Carugati (Electa, 2011).
La raccolta dell’Erbamat della Guido Berlucchi è avvenuta nel vigneto Castello, “un ettaro di vigna biologica sulle balze del maniero medievale di Borgonato”, in provincia di Brescia ovviamente.
Una vendemmia con conseguente vinificazione che arriva dopo anni di prove in campo e microvinificazioni, studi e sperimentazioni condotti in collaborazione con il Consorzio Franciacorta.
Per accelerare i tempi di produzione, il team agronomico della cantina ha scelto di sovrainnestare un ettaro di Chardonnay nella sede orientale del vigneto Castello. Una scelta premiata da una vendemmia “generosa per quantità e qualità”, con grappoli sani e analisi che evidenziano acidità ben equilibrata. Caratteristica quest’ultima che ha fatto preferire, nel corso delle ricerche, l’Erbamat a tutti gli altri vitigni bresciani perduti posti in sperimentazione.
Con queste premesse ci siamo cimentati con la degustazione della base della prima vinificazione ufficiale dell’Erbamat 2017 del vigneto Castello della Guido Berlucchi, con un certo senso di responsabilità, poiché chi scrive è stato il primo giornalista in assoluto a testare in esclusiva tale vino in divenire.
Posto il bicchiere in controluce, lo sguardo ha attraversato la trasparenza non banale del nettare, nel quale galleggia cromaticamente un appena percettibile riflesso luminescente che sembra provenire dalla tradizione alchemica, sospesa tra i prodromi del metodo scientifico e la ricerca ideale della pietra filosofale, esattamente come questo vino figlio di ragione e sentimento.
Ancora abbagliati dal baluginare di tale ambrosia liquida, nell’accezione di Anassandride, si fa avanti spudoratamente la potente impronta floreale del bouquet che stordisce per la varietà olfattiva.
L’ingresso al palato è una spremuta di ananas che impregna la freschezza del sorso, prima che l’evoluzione organolettica sorprenda con la potente emersione di toni agrumati, via via sempre più riconoscibili nel rilascio aromatico degli oli essenziali del Bergamotto. Ne consegue infatti un tocco aspro che stimola la salivazione, ingolosendo la beva. Nel frattempo l’acidità imperversa in bocca, creando furibondo piacere di impressionante originalità.
La permanenza nel bicchiere non porta ad alcun decadimento ossidativo, facendo piuttosto ispessire il nerbo del vino, senza che esso perda nemmeno un sospiro del suo caleidoscopico spettro sensoriale. Tutto ciò mentre un sinuoso finale si estende in una lunga persistenza.
Se l’originalità di questa base è tale da non consentire similitudini con alcunché di esistente, l’unico rimando possibile suggerito dalle nostre papille è con l’Asprinio di Aversa, guarda caso un altro vitigno ben vocato alla spumantizzazione.
Ci rendiamo così conto con l’Erbamat di trovarci davanti all’annuncio di un grande vino dall’infinito eclettismo, in grado certamente di indirizzarsi in tutte le possibili sfumature enoiche.
Sulle potenzialità nella spumantizzazione, non possono esserci dubbi: sembra che l’Erbamat possieda una vocazione genetica per creare una virtuosa osmosi con le bolle. La sua personalità è però talmente forte che dovrebbe creare benevolo allarme per il Consorzio che ha limitato al 10% il suo apporto per “preservare le caratteristiche del Franciacorta”: ebbene, dopo averne assaggiato la base, possiamo affermare che anche una piccola percentuale di Erbamat sia in grado di stravolgere, positivamente, ogni blend franciacortino. La complessità ancestrale di Erbamat zampilla di esuberanza sensoriale, al punto che lascerà certamente la propria impronta in qualsiasi assemblaggio.
La speranza però è di potere assaggiare i vini di questo vitigno in tutte le possibili declinazioni, spumantizzato in purezza ma anche fermo, perché le potenzialità appaiono molteplici ed estremamente promettenti.
Abbiamo chiesto ad Arturo Ziliani di esprimerci le sue considerazioni sull’Erbamat e di approfondirne le caratteristiche: lo ha fatto davanti alla nostra telecamera nel video che segue.
Dal punto di vista della comunicazione, l’Erbamat consentirà alla Franciacorta di cavalcare il montante fenomeno mediatico degli autoctoni, pur senza snaturare l’immagine scintillante di sé che il Consorzio ha costruito in questi anni. Il carico di storia agricola, archeo-botanica e memoria antropologica dell’Erbamat sarà anche un enorme valore da spendere sul piano del vantaggio reputazionale nei confronti dei competitor: nessuna realtà assimilabile alla Franciacorta può vantare un simile recupero, quindi se il Consorzio punterà su un’auspicabile campagna di promozione del nuovo-vecchio vitigno, ossimoro di assoluta singolarità, creerà una voragine con gli altri ambiti spumantistici nazionali, nessuno dei quali al momento ha una tale narrazione da potere spendere.
La vicenda dell’Erbamat fa venire in mente la potente immagine di un episodio della turbolenta vita del citato conte Lana, intento a cavalcare un cavallo ma montandolo al contrario nell’atto di sfidare in velocità uno dei primi treni, intendendo in questo modo sbeffeggiare il progresso tecnologico rappresentato dal cavallo di ferro. In fondo, simbolicamente, il conte in sella al cavallo nella postura contraria a quella abituale, rende l’icona di chi si gira a rimirare ciò che si trova alle sue spalle, come se rivolgesse lo sguardo al suo passato, a ciò che lo ha preceduto, senza però interrompere la sua gloriosa cavalcata in avanti verso nuovi traguardi. Vale lo stesso per l’operazione Erbamat del Franciacorta: un modo di volgere lo sguardo a ciò che ha offerto il territorio nel passato remoto, per rendere ancora più eccitante la corsa verso il futuro.
E nel titolo di un comunicato della Guido Berlucchi, l’azienda si chiedeva proprio se l’Erbamat “sarà l’uva del futuro in Franciacorta?”: la risposta è che quel futuro è già iniziato e se punterà ancora di più su questo commovente vitigno autoctono bresciano, sarà sempre più radioso.
Info: http://www.berlucchi.it/il-territorio/vigna/