I Vigneri di Salvo Foti, vini tradizionali dell’Etna da una secolare maestranza di viticoltori

Una monumentale lezione di civiltà che riconduce il vino alla sua essenza più pura, sottraendolo al cinismo utilitaristico dell’industria famelica e alla banale elevazione a status symbol, per riportarlo alla dimensione fenomenica e sentimentale di atto contadino di infinita nobiltà, eleggendolo a radice identitaria di un territorio e della sua comunità…

… così la cantina etnea che ha voluto chiamarsi I Vigneri ha stabilito un nuovo paradigma nella vitivinicoltura, smontando ogni sovrastruttura del consumismo per tornare alle ragioni del nostro essere umani e in quanto tali appartenenti alla Natura, grazie alla colta sensibilità di Salvo Foti che ha messo la sua prodigiosa capacità tecnica al servizio del cuore di un’intera comunità, facendosi vate di un rinascimento dei valori arcaici e quindi eterni del nettare di Bacco dal quale sgorgano bottiglie di concreta meraviglia.

La prima ad accorgersi di questo miracolo di produzione etica stanziato a Milo in provincia di Catania è stata un’altra struttura nota per le sue elevate qualità morali e deontologiche, il distributore Proposta Vini, il quale nelle sue note parte dalla premessa di “vigneti coltivati ad alberello etneo su un terreno sabbioso vulcanico” per evidenziare che “lo spirito operoso della famiglia Foti è legato al piacere di fare bene, senza frenesie, in armonia con sé stessi e con l’ambiente circostante: paesaggio, natura, il vulcano Etna, di cui si è parte, non al di sopra”…

… per questo “I Vigneri è un sistema organico di fare vitivinicoltura nel rispetto dell’Uomo e dell’ambiente in cui si trova, vuole fortemente che i vini siano l’essenza più pura dell’ambiente e dell’antichissima civiltà vitivinicola” e “i risultati sono vini con l’anima, essenza pura dell’ambiente e della civiltà vinicola antichissima di questi luoghi; Salvo ne è custode, nelle tecniche e nella filosofia che riassume con queste parole: un vino umano, prodotto dall’uomo, per l’uomo nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente”.

La cantina a sua volta pone l’accento sulla forte influenza identitaria che l’Etna esercita anche sui vini prodotti nel suo ambito, ricordando come sia il vulcano più grande dell’Europa…

…. nel cui territorio “si possono considerare tre grandi zone elettive per la coltivazione della vite: la prima è quella compresa tra i 400 e i 900 m s.l.m. nel versante est, la seconda è quella compresa tra i 500 e gli 800 metri s.l.m. nel versante nord e la terza fra i 600 e i 1000 m s.l.m. nel versante sud”, aggiungendo che “nella regione etnea esistono delle sostanziali differenze climatiche, non solo rispetto al resto della Sicilia, ma anche tra una zona e l’altra del Vulcano: ciò è dovuto dallo sviluppo su superficie troncoconica e alla vicinanza del mare dell’Etna”.

Da qui la caratteristica di “un’elevata variabilità ambientale e microclimatica”, tanto che “nel giro di alcune decine di chilometri si incontrano paesaggi naturalistici ed agricoli che vanno dal sub tropicale al montano”.

Altri condizionamenti virtuosi arrivano da microclimi unici per la coltivazione della vite, nonché da suoli contraddistinti da una forte variabilità pedogenetica causata dalle diverse colate laviche nel corso dei secoli.

Fin qui l’ambiente, ma per Foti bisogna porre l’accento anche e soprattutto sulle persone, in questo caso anch’esse autoctone come i vitigni coltivati: “tutti i nostri collaboratori sono originari dell’Etna e molti lavorano con noi da più di 25 anni”…

…. “la conoscenza, il rapporto personale diretto, senza intermediari, con ogni nostro Uomo o Donna è per noi fondamentale”, arrivando così a coniare lo slogan che contraddistingue questo progetto: “fare Vini Umani”, nel rispetto dell’Uomo e dell’Ambiente.

Foti spiega che “preferiamo definire i nostri vini Vini Umani piuttosto che vino naturale o altra etichetta” perché “per noi la continuazione delle pratiche agricole e viticole dei nostri avi, l’uso dell’antico sistema agricolo dell’Alberello e del Palmento, la condivisione e l’armonia del lavoro con i nostri collaboratori e con la nostra famiglia”.

Elementi sufficienti per comprendere il ruolo di massima guida enologica che Salvo Foti riveste nell’area etnea, estendendo la sua influenza al Mediterraneo.
Foti è etneo pure di nascita (a Catania) e sin da piccolo ha lavorato in vigna e in palmento, iniziando la sua carriera di enologo illuminato nel 1981 “collaborando con note aziende siciliane del ragusano, trapanese, ma soprattutto con aziende etnee dove ha partecipato alla nascita di realtà vitivinicole oggi leader in questa zona”, come ben sanno gli appassionati che vedono giustamente in lui non soltanto un pioniere ma anche il protagonista di una svolta storica nell’area.
A sancirne il prestigio assoluto, una ricerca scientifica di riconosciuto valore, seguita da docenze di alto profilo, articoli e pubblicazioni di rara importanza divulgativa.

In azienda la continuità generazionale è garantita adesso dai figli Simone e Andrea Foti, reduci da studi ai massimi livelli condotti anche all’estero.

Ma la famiglia di Foti è allargata ai suoi collaboratori.

Infatti I Vigneri affermano che “oltre ad essere un’azienda vitivinicola siamo una Maestranza di vitivinicoltori autoctoni etnei”, impegnati da più di 30 anni sull’Etna e in Sicilia Orientale in un indefesso lavoro di conduzione tradizionale di vigna e cantina, ricerca di piccole innovazioni artigianali (come un mini-trattore per lavorare su terreni impervi), indagine antropologica, tutto teso alla “ricerca dell’armonia, un approccio organico, senza correre e forzare la natura, in sintonia con ciò che ci circonda: l’Ambiente e il Monte Etna, di cui ci sentiamo parte, non al di sopra”.

Grande l’attenzione anche nelle pratiche della coltivazione.
Le vigne infatti “sono coltivate seguendo le tradizioni etnee, ponendo al primo posto il rispetto dell’ambiente e degli uomini che vivono la terra: tale approccio agricolo ci porta ad usare solo anticrittogamici tradizionali come rame e zolfo, induttori di resistenza organici, per la coltivazione della vite”.

I vigneti si trovano in tre aree del Vulcano: contrada Caselle, Milo 750 s.l.m., in cui vengono coltivati Carricante e Minnella; Contrada Porcarìa, 550 s.l.m., Passopisciaro frazione Castiglione di Sicilia, dove si trovano Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Granache; Contrada Nave, Bronte, in cui prosperano Granache, Minella nera, Greganico, Minella Bianca e altre varietà sconosciute.

Sono tutti vigneti di proprietà, nei quali “non sono presenti pali in ferro o in cemento, fili di ferro su cui appoggiare le viti: solo ed esclusivamente pali di castagno dell’Etna”.

Inoltre niente plastica per legare le viti ma solo corde organiche in fibre naturali, nessun impiego di grandi mezzi meccanici e concimazione con letame di pecore allevate in modo naturale da pastori conosciuti personalmente.
E ancora soltanto trattamenti con zolfo o rame, nessuna irrigazione per le viti, uso di strumenti prodotti da artigiani locali, quindi lavoro manuale da operatori del posto per fare in modo di sostenere l’economia locale.

Fondamentale anche per la definizione del paesaggio la presenza in tutti i vigneti di terrazzamenti con muretti a secco per preservare e salvaguardare il territorio, all’interno di ecosistemi naturali, dove la vite condivide la terra con altre piante autoctone “per ridurre l’impatto della monocoltura e aumentare la biodiversità”.

La cantina è ospitata da un vecchio Palmento che “non ha bisogno di elettricità o altra energia esterna per funzionare, ma solo la forza naturale della gravità, la forza umana e il nostro ingegno”…

… dove non vengono utilizzati contenitori di plastica.

Inoltre “nella costruzione di nuovi ambienti della cantina, abbiamo utilizzato solo la pietra lavica dell’Etna, mattoni in terracotta lavorati e fatti a mano da maestranze locali: nella nostra bottaia vi è la nuda pietra lavica lavorata a mano da noi stessi” e “gli arredi in ferro sono forgiati a mano: conosciamo personalmente tutti gli artigiani che hanno collaborato a creare la nostra cantina”.

La produzione è fedele a presupposti così ricchi di rigore e onestà intellettuale.
I vini infatti utilizzano simboli ampelografici secolari dell’Etna, a partire dal Carricante, da approcciare nella sua apodittica versione in purezza nel Vignadimilo…

… frutto “di una particolare selezione viticola massale fatta da Salvo Foti in oltre 20 anni di attività: il vigneto è stato impiantato in parte con l’antichissima tecnica etnea dei magliuoli”, quindi una produzione diretta senza innesto su vite americana (franco di piede), con coltivazione del vigneto eseguita a mano utilizzando prodotti naturali, mentre travasi e imbottigliamento “vengono svolti secondo le fasi lunari”.

Ne derivano profumi di agrumi orientali e sapori di mango, bergamotto yuzu, albicocca essiccata e ananas candito.
Denso, quasi cremoso, dotato dello spessore del grande vino ma dal carattere fresco e aromatico, poggia su un’acidità sensibile capace di creare armonia organolettica legando insieme spunti zuccherini e note di lievito, con un finale che ammicca all’amabilità.
Il sorso spesso e la complessità lo rendono solenne a tavola, dove richiede piatti saporiti di pesce o carni bianche di pregio, ma anche formaggi aromatizzati.

Il Carricante in Aurora presenta un saldo del 10% di Minnella bianca, vitigno ancora misconosciuto ma dalle qualità straordinarie: il nome della referenza è un omaggio all’Alba, intesa come “una piccola e graziosa farfalla autoctona dell’Etna (rappresentata in etichetta) a rischio di estinzione”.

Qui il bouquet si spinge verso i fiori, dalla zagara al gelsomino, mentre al palato giungono limone, mandarino, pesca tabacchiera, mela gelato e pera butirra.
La sapidità è protagonista, scatenando la golosità della beva.

Ancora Carricante in purezza e pure franco di piede nell’iconico Palmento Caselle dalla grande delicatezza olfattiva che evoca la frutta a polpa bianca, mentre al gusto si colgono cedro, susina gialla, sbergia e ficodindia.
L’intensa mineralità rende irresistibile la beva, alimentata ancora una volta da aromi e freschezza.
Nel finale tornano protagonisti gli agrumi, con il limone Interdonato in primo piano, mandando in beatitudine il fortunato degustatore, lasciando la bocca pulita e profumata.
Con l’incedere dell’ossigenazione aumentano le sfaccettature del suo prisma sensoriale, con il contributo di un cenno di confettura di albicocca.

I rossi aziendali fanno comprendere perché questa tipologia ha reso l’Etna un mito mondiale del buon bere.
La cantina ha voluto fissare lo standard assoluto di quello che con buona ragione definisce “il Vino Rosso Tradizionale dell’Etna”, decidendo di chiamarlo semplicemente ma significativamente con il nome dell’azienda, I Vigneri, mettendo insieme i vitigni identitari per eccellenza dell’Etna, il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio, quest’ultimo nella misura del 10%.

Il produttore lo definisce “un vino schietto, antico e genuino, vinificato in Palmento Etneo, come si è da sempre fatto sull’Etna, senza attrezzature di refrigerazione e nessun affinamento in legno” e “in vinificazione non sono utilizzati frigo e biotecnologie”, oltre alla peculiarità della pigiatura con i piedi delle uve non diraspate, oltre a nessuna aggiunta di lieviti e fermentazione spontanea.

Porta al naso la rigogliosa atmosfera boschiva del Vulcano innervandola di spezie pepate, conducendo con decisione al palato la ciliegia, insieme a ribes rosso, corbezzolo e un tocco di lampone.
Come da caratteristica varietale, sottolineata dall’assenza di legno, il tannino è delicato e suadente, contribuendo all’elegante setosità del sorso.
Il finale somiglia all’abbraccio affettuoso di chi ti vuole bene con rispetto.

Stabilito il modello di riferimento, Foti procede a superarsi e ascendere all’Olimpo dei più grandi vini del mondo con due variazioni sul tema, come il Vinupetra che sceglie di mettere in mostra tutta la ricca storia viticola etnea, affidandone la narrazione a un blend di Nerello Mascalese 80%, Nerello Cappuccio 10%, Granache e Francisi 10%.
Il nome della referenza deriva da “una parola dialettale siciliana che significa vino prodotto in un terreno pieno di pietre”, attingendo la materia prima da un vigneto ultracentenario con una parte reimpiantata nel 2005.
Il bouquet è misurato nell’accostare frutti di bosco e istanze erbaceee, mentre in ogni goccia si riscontrano gelso nero, marasca, sorbo e cioccolato bianco.
L’approccio è insieme intensamente zuccherino e sapido, detonatori di entusiasmo nella degustazione, con l’acidità intenta a mantenere equilibrio ed eleganza.
Il finale rompe gli indugi e spinge deciso verso l’amabilità.
Versatile negli abbinamenti gastronomici, dove prediglige carni non troppo elaborate e prodotto caseari freschi.

Preparate i fazzoletti per l’approccio al Vinupetra Viticentenarie che è pura e deflagrante commozione.
Foti fa calare verso gli umani assetati un assemblaggio di 80% Nerello Mascalese, 10% Nerello Cappuccio e un 10% di quel Granache che qui ha remota e consolidata storia di ambientamento.
Anche e soprattutto in questo caso ci troviamo al cospetto di un vigneto ultracentenario in buona parte franco di piede.
Qui si respira aria boschiva dominata dalle spezie, mentre si gustano prugna, rabarbaro, amarena sotto spirito, cotognata e mostarda di uva.
Il tannino si libera da ogni catena e prende possesso del carattere del vino, ma sempre accogliendo a braccia aperte dolcezza e spirito amaricante.
Denso senza perdere nulla in garbo, ringraziando l’acidità di base, sfocia in un finale che evoca vini fortificati e nettari da meditazione, sempre fedele a una formidabile soavità della beva.

Nuova antropologia da bere con il Vinudilice, prova del rosato che sembra una narrazione archeologica della stratificazione culturale della civiltà etnea, usando Granache, Minnella Nera, Grecanico, Minnella Bianca e altre varietà in un mirabile sincretismo agricolo.
Parliamo di un rosato “che nasce tale direttamente nel vigneto: un misto di uve bianche e rosse raccolte e vinificate tutte insieme”, effetto di una coltivazione del vigneto “fatta a mano e con il Mulo”.

Per l’analisi vogliamo riprendere quanto già scritto in un prestigioso volume al quale abbiamo avuto l’onore di collaborare, L’importanza di essere franco di Gianpaolo Girardi e Marta De Toni (Nuove Arti Grafiche, Trento, 2024): al naso “l’Etna, si sa, è prepotente e borbottando richiama l’attenzione invadendo i descrittori di questo vino con i suoi caratteristici funghi di ferla con note di muschio”, poi “è tempo che il palato si prepari a un’ondata di acidità su un’impronta zuccherina con orme di fragola di Maletto, mango delle pendici orientali della Muntagna, pesca tabacchiera e arancia sanguinella (magari di Paternò)”, con un sorso “assiduo come il fumigare del vulcano più alto d’Europa, la decantazione risveglia il tannino in forma di ricordo schermato e la freschezza non abbozza nemmeno al cospetto dell’ultimo sorso, mentre in controcampo si staglia il profilo di un’attesa mineralità a dir poco insistente, magari camurriusa ma insostituibile”.

Tra gli abbinamenti suggeriti, nell’ambito culinario siciliano si può attingere a carne in versione arrusti e mangia magari in piedi con mani prensili e morsi voraci, salsiccia e caliceddi, ma anche scacciata (con broccoli o cavolfiori e primo sale filante o tuma), pane cunzato, una siciliana fritta o un arancino al ragù catanese, mentre fuori dai confini regionali andrebbe parecchio bene la selvaggina, come lepre, fagiano, folaga o quaglia.

Salvo Foti ci ha regalato una descrizione puntuale e approfondita di questo progetto nel video che segue.
Info: https://www.ivigneri.it/
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/i-vigneri-salvo-foti/