Cantina Santa Venere a Cirò, vini biologici da uve autoctone calabresi e divulgazione culturale

La dimostrazione lampante di come il vino sia strumento pedagogico dal potente vigore endemico, in quanto vettore diffuso di divulgazione culturale e fonte primaria di gnoseologia del territorio: lo sanno benissimo alla cantina Santa Venere di Cirò in provincia di Crotone dove hanno ben chiara questa funzione dei prodotti vitivinicoli e la sostengono con lucida consapevolezza intellettuale, aggiungendo la lodevole intransigenza di trarre nettari calabresi di rara soavità esclusivamente da uve autoctone.

Parliamo di un’azienda agricola biologica che si estende sulle colline dell’antica terra di Cirò, teatro di “una lunga storia che dai Greci, passando per Federico II, arriva nel 1600 alla famiglia Scala”, ambientata in una terra “figlia del Mediterraneo” dove oggi Giuseppe e Francesco “guidano l’azienda puntando a valorizzare il grande patrimonio ampelografico calabrese”.

I due titolari hanno raccolto il bagliore di una tradizione che risale a quando “si producevano uve con lo scopo di fornire coloro i quali si occupavano della trasformazione”, prima che gli avi degli Scala intuissero le potenzialità della produzione autarchica di grandi vini, contando su terre che sono di proprietà della famiglia dal 1600.

Tra i punti fermi della cantina bisogna annoverare quello dell’adozione di un “metodo di coltivazione rigorosamente naturale”, ovvero che “non utilizza sostanze chimiche di sintesi, ma fa uso di sostanze naturali: ciò valorizza le risorse naturali del terreno nel pieno rispetto delle caratteristiche del suolo e della biodiversità e permette di ottenere prodotti di elevata qualità”.

I vigneti, di proprietà, si estendono “per 25 ha nel cuore di Cirò a 500 mt. dal mar Ionio, terra esposta al sole e ai venti”, allevati a cordone speronato e ubicati nelle località denominate Volta Grande, Vurgadà, Piana di Coletta, Sant’Angelo, Speziale.

Il metodo di lavorazione prevede che “le uve, appena raccolte, vengono poste per 8/10 ore nella cella frigorifera per abbattere la temperatura e preservare le caratteristiche del prodotto, evitando ossidazioni; durante la fermentazione, la temperatura viene costantemente controllata”.

La cantina inoltre “è dotata di botti in legno della migliore qualità, selezionate in relazione al tipo di vino che devono contenere, allo scopo di esaltarne al meglio le caratteristiche”.

Siamo nella località omonima del vino Cirò e si deve quindi cominciare il racconto dei prodotti da questa tipologia, a partire dal Rosso, tratto da uve Gaglioppo, il quale si presenta con un favoloso bouquet di spezie adagiate su base silvestre, proseguendo in bocca con sapori di mora di rovo, ribes rosso, marasca, barbabietola, melangolo candito e cioccolato fondente.
L’acidità intensa bilancia un tannino sensibile.
Avviluppa la lingua con un sorso setoso e materico che irretisce.
Finale segnato dal ghiotto confronto tra note zuccherine e amaricanti.

Sempre Gaglioppo in purezza per il Cirò Rosato che profuma di lampone e lascia avvertire al palato fragola, papaya, bacche di goji, kiwi giallo e ciliegia candita.
Intensamente minerale e dalla spiccata acidità, si segnala per una sapidità così trionfale da rendere vorace la beva.
Oltre a sposarsi perfettamente con l’aperitivo, è notevole su insalate ricche e in generale con piatti dagli abbinamenti difficili, grazie a una rara trasversalità.
Finale denso di gioia e profumi.

Del Cirò esiste anche la declinazione in Bianco che seduce l’olfatto con i fiori, gelsomino in particolare, mentre in bocca si alternano bergamotto, melone, pera, nettarina e yuzu.
Immediatezza della beva elevata come l’acidità, dal finale sorprendentemente lungo.

Commovente la scoperta di un vitigno autoctono proprio del cosentino chiamato Marsigliana Nera, le cui origini sono ancora avvolte nel mistero, mentre è evidentissimo il suo superlativo valore organolettico, racchiuso del favoloso Speziale che al naso offre composta di susina e un’ancora vivida sensazione di mosto, mentre il palato ravvisa gelso nero, prugna di Terranova, azzeruolo e cioccolato al latte.
Vellutato, denso, impone subito il suo carattere zuccherino insieme a un’elevata densità fruttata.
L’acidità mitiga la monumentalità del sorso, creando melodiosa armonia.
Il finale caldo e avvolgente ne sancisce lo status di vino clamoroso.

Per la prova delle bollicine si torna all’impiego del Gaglioppo nel Brut Sp1 Bianco, metodo classico dal bouquet di frutta passita e dai gusti di limone, mango, alchechengi, zenzero, tè giallo e un tocco di crema Chantilly.
Dopo l’ingresso sospeso tra abboccato e agrumato che conquista subito, segue un sorso suadente reso fibrillante da un perlage raffinato e intenso.
Freschezza ed esuberanza aromatica lo avvicinano a tavola al pesce saporito e alle salse speziate.

Chiudiamo con il Calamacca che nasce dal classico vitigno Zibibbo ma traducendolo con inedita personalità, facendo in modo che non dilaghi la sua propensione alla dolcezza espansa bensì puntando a estrarne aromi netti e percepibili, partendo dalla zagara al naso e proseguendo in bocca con mango, ananas essiccato, maracuja, confettura di albicocca, arancia candita e miele di Cisto.
La beva è elegante ed equilibrata, fino a un finale che preferisce congedarsi senza eccessi stucchevoli, bensì rinnovando l’invito a un ulteriore sorso.

Tanti gli spunti da approfondire con Giuseppe Scala nel video che segue.
Info: https://www.santavenere.com/index.php
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/santa-venere/