Calatroni e Mon Carul, storie e leggende da bere dall’Oltrepò Pavese
Storie minime familiari e grandi leggende territoriali tradotte in nettari: non c’è un solo aspetto dell’attività vitivinicola e della vita quotidiana di Calatroni che non sia legato al fascino irresistibile dello storytelling, rendendo questa cantina dell’Oltrepò Pavese quasi un’espressione letteraria essa stessa.
Basti leggere come si presenta sul proprio sito, rifuggendo le furbizie della comunicazione d’impresa per attingere invece allo stile narrativo del memoir: “l’undici novembre del 1964 Luigi Calatroni era seduto ad un tavolo, di fronte a lui un foglio con il timbro del comune di Montecalvo Versiggia, un documento che avrebbe cambiato per sempre la sua vita e che aspettava solo una firma… la sua!” è l’avvincente incipit che spiega l’acquisizione della proprietà di terreni già da quattro generazioni dediti alla coltiva zione del Pinot Nero e il conseguente suo passaggio da mezzadro a proprietario, approdo agognato dopo anni di stenti nei campi seguiti alla Seconda Guerra Mondiale combattuta nella terribile campagna di Russia.
Il romanzo biografico fa un salto temporale fino al giorno d’oggi con l’affresco della modernità che attecchisce anche in campagna, mentre intorno al desco si riunisce l’intera famiglia tra il profumo di un piatto di agnolotti fumanti accompagnato sempre dall’immancabile Pinot Nero.
E’ in quel momento che “nei loro pensieri uno spunto riaffiora: chissà se tutto ciò sarebbe stato possibile senza un mezzadro di nome Vigiö”.
Il Vigiö della Cà Bela era il modo in cui era conosciuto proprio quel Luigi Calatroni da cui tutto è iniziato. E Vigiö è anche il nome del vino più poetico della cantina, una Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC rossa e frizzante come questo terroir comanda. Anche in questo caso, ben prima delle note di degustazione, dalla cantina arriva altra narrazione che parte proprio dalla conclusione della campagna di Russia nel 1943 con la conseguente rocambolesca e fortunosa corsa di Luigi Calatroni per tornare a Montecalvo Versiggia in tempo per firmare un vitale contratto di mezzadria. Una tenacia omaggiata da questo vino che profuma di more selvatiche e si presenta al palato con un tocco amaricante e un certo piglio tannico, sviluppando sentori di ribes, mosto di fichi e sorbo. Pastoso, perfino ostico in certe evoluzioni, proprio per questo finisce col conquistare con la schiettezza.
Vigiö rientra nel progetto Bonarda dei Produttori “ideato e promosso dal Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese per valorizzare il vino più tipico del territorio” attraverso “un disciplinare di produzione assai più restrittivo” di quello della DOC.
Questa referenza si trova sotto il marchio Mon Carul, termine dialettale “che identifica il comune di Montecalvo Versiggia”, composto da due sinonimi: “la radice della parola romana mons (monte) e car (come gli antichi Liguri chiamavano il monte)”.
Un marchio “dedicato ai vitigni autoctoni (croatina, barbera, uva rara, moradella) e a quelli alloctoni più diffusi (riesling renano, riesling italico, pinot nero)” che si basa “sul precetto della coltivazione in biologico, con attenzione anche all’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e pratiche a ridotto impatto ambientale”.
Sotto quest’egida rientrano anche altri gioielli.
Come il succoso Riesling Renano che lascia esprimere in pieno il frutto grazie a una delicata vinificazione in acciaio, per poi arricchirlo di sapidità.
Esemplare invece il Sangue di Giuda, vino rosso dolce frizzante per eccellenza della zona, in merito al quale la cantina rievoca una leggenda che ha per protagonista proprio il personaggio biblico, intento a salvare vigneti per rimediare al suo peccato.
E’ composto da uve Croatina, Barbera e Uva Rara in cui il carattere zuccherino è dominante ma non invadente, aggregando suggestioni di visciole e portando la gioia sulle papille gustative.
Il racconto torna prepotente con il Riesling Extra Brut Inganno 572, dove la fonte è una leggenda ambientata a Pavia alla vigilia di Pasqua del 572, quando Alboino re dei Longobardi “riuscì a entrare in città dopo 3 anni di durissimo assedio”, ottenendo doni di ogni tipo dai pavesi impauriti che però gli strapparono la promessa di rispettare le colombe: lui pensava si trattasse del simbolo della pace, per poi scoprire invece che tutte le fanciulle del posto dichiaravano di chiamarsi Colomba per ottenere la salvezza, dando vita appunto all’inganno citato.
Tradotta in bollicine, la leggenda profuma di fiori di campo e in bocca sceglie un approccio per nulla ruffiano che regala cedro, ananas, pesca nettarina, fino a un lampante finale di limone.
Il citato Pinot Nero mostra il proprio nerbo nel metodo classico Brut, dove il caratteristico sentore di crosta di pane assume venature cremose, ma l’Oltrepò è regno del rosé e quindi le note finali sono tutte per il Norema 90 Pinot Nero Rosato dosaggio zero millesimato che della rosa ha anche il bouquet e un magnifico colore che volge a nuance antiche, mentre in bocca è cremoso e materico, con sensazioni di prugne, cotogne e corbezzoli. Intenso, se accompagnato a un pasto pretende cibi di personalità, perché ha carattere da vendere.
A raccontare questa esperienza ricca di riferimenti narrativi è Stefano Calatroni, nel video che segue.
Info: https://www.calatronivini.com/