Dalla cooperativa Maixei, vini coraggiosi della Liguria da viticoltura eroica

“Ce n’è voluta di pazienza, pazienza nell’azzurro, per innalzare tutti questi muri”, ma le piccole fortificazioni litiche così cantate dal poeta ligure Francesco Biamonti non sono nate per dividere, bensì per unire, creando un legame tra le più nobili fatiche terrene dell’essere umano e le più alte sfere siderali del piacere divino, estraendo sublimi nettari dalla coraggiosa resilienza di un gruppo di eroi agricoli radicati in un fazzoletto della provincia di Imperia, dove creano vini clamorosi che vibrano della commozione di chi li incontra in un bicchiere: tanti elementi ancora non bastano per sintetizzare l’opera ardimentosa della cooperativa Maixei…

… fondata “da un gruppo di piccoli produttori sparsi tra i comuni di Apricale, Baiardo, Camporosso, Castelvittorio, Dolceacqua, Isolabona, Perinaldo, Pigna, Rocchetta Nervina, S. Biagio della Cima, Soldano e anche di Vallecrosia, Ventimiglia e Vallebona dove, nei secoli, la gente ha sopportato fatiche immani per coltivare la vite”, come spiega il distributore Proposta Vini che l’ha inserita “a pieno titolo nel progetto Vini Estremi” (https://www.propostavini.com/i-nostri-progetti/vini-estremi/)…

… “per ragioni legate al lavoro manuale e alla strada da percorrere a piedi necessaria per raggiungere i vigneti arrampicati sulla montagna”.

Le zone di produzione “sono distribuite lungo la Val Nervia e la Val Verbone in provincia di Imperia, nella Liguria di Ponente”, con epicentro nell’antico borgo di Dolceacqua definito “un luogo magico che incanta artisti e viaggiatori”. Parliamo quindi di pendii scoscesi che rappresentano “ottime terre per lo sviluppo della vite: riparate a settentrione dall’incontro tra Alpi Marittime e Appennino e mitigate a sud dal Mar Ligure che fa da accumulatore di calore”.

Il motto di questa realtà è “dall’amore per il passato, prodotti che guardano al futuro”, mentre la quotidianità parla di “lavoro manuale, secolari muri a secco, terrazzamenti e conduzione di vigne e uliveti artigianale”.

Il primo aspetto che da Maixei tengono a mettere in evidenza è proprio “la tradizione dei muretti a secco, custodi silenziosi e instancabili di un patrimonio umile e prezioso”.
Con buona ragione, visto che la Liguria “è la più grande custode di un Patrimonio dell’Umanità definito immateriale: i muri a secco che in gergo locale si chiamano maixei, centinaia di migliaia di chilometri di pietre antichissime incastrate l’una sull’altra, in un legame rafforzato dal tempo e dal lavoro quotidiano di generazioni di persone”.

I muri a secco sono costruzioni ancestrali nate “per rendere coltivabile il nostro territorio e proteggerlo da frane e piogge”, in grado però anche di dare vita a paesaggi mozzafiato.

Una bellezza della quale sono ben consapevoli i viticoltori riuniti in questa cooperativa, tanto da continuare con forza e coraggio a coltivare ancora a mano “rinunciando alla meccanizzazione che chiederebbe di sacrificarli: ripristinano continuamente i maixei che franano, cedono, si smontano; in questo modo tengono vivi non solo dei pezzi storici, sagomati dagli antichi Liguri e simbolo del luogo e della tradizione, ma dei veri e propri elementi di salvaguardia dell’ambiente, difendendo coltivazioni secolari”.

A questa missione si aggiunge quella di vinificare in purezza, una “tradizione della Riviera di Ponente che Maixei rispetta, tramandando le tecniche di lavoro manuale e una conduzione delle vigne artigianale”.

Accade così che “i nostri rossi sono ricavati unicamente da grappoli di Rossese e i bianchi da uve Vermentino e Pigato, coltivate sul nostro territorio: la purezza del vino non significa solo assenza di tagli e uvaggio, vuol dire assenza di elementi estranei, di impurità, sapore autentico e rispetto della tradizione; ci assicuriamo che i processi di trasformazione del mosto siano minimi e autentici, per restituire un vino pronto a regalare il suo personalissimo bouquet”.

In tale contesto i vini Maixei “nascono dalla passione e dall’impegno di 30 viticoltori riuniti in una Cooperativa che dal 1978 si occupa di valorizzare e far crescere un lavoro che si alimenta di una passione autentica per la terra”.
Una terra che corrisponde alla Macchia Mediterranea, dotata di suoli magri immersi in un clima perfetto per la viticoltura come quello della Liguria.

E’ lo scenario in cui avviene il “sodalizio tra la tradizionale vite ad alberello e la moderna viticoltura di qualità”, con vigneti che “riposano tra i 300 e i 600 metri sul livello del mare, in un territorio pedemontano che si srotola su pendii verticali da cui gli antichi hanno strappato aree orizzontali sostenute dai preziosi muretti a secco”, contando sugli antichi insegnamenti derivati dalle origini greche dell’agricoltura del territorio.

Un terroir esaltato dall’abbraccio di temperature ideali per la coltivazione delle uve del territorio, quali Rossese di Dolceacqua, Vermentino e Pigato.
In particolare, il Vermentino Riviera Ligure di Ponente nasce da uve che provengono da vigne nelle zone più vocate di valle Nervia, Verbone e Impero, portando a un fantastico bouquet di zagara e sapori di limone, pera, pesca e litchi.
Molto sapido, dal delizioso tocco aspro agrumato, sprizza acidità e aromi in maniera irresistibile.
La beva freschissima e golosa ne scatena la golosità.
Finale spiazzante in cui affiora la frutta esotica.
Perfetto sul pesce, sorprendente con le carni bianche.

Il Pigato Riviera Ligure di Ponente scaturisce invece da uve coltivate nelle aree di Cisano sul Neva, Salea, Ranzo e dell’Albenganese, generando profumi esotici e speziati, seguiti in bocca da albicocca, nettarina, mela, chinotto e un cenno di frutta secca.
Caratterizzato da una spiccata mineralità, sfoggia un corpo esile ed elegante di grande fascino sensoriale.

Chicca aziendale è il Moscatello di Taggia, un clone del Moscato Bianco, antica varietà ligure che ha trovato il suo luogo di elezione nel territorio dell’omonimo comune, dove le sue uve vengono coltivate in località Beusi a un’altitudine di 200 metri con esposizione tra sud e sud ovest.
Sprigiona seduzione fin dal suo cromatismo paglierino spento limpidissimo molto particolare, ma è altrettanto intrigante il corredo olfattivo che unisce zagara e agrumi, lasciando decodificare al palato mango, kumquat, cedro candito a vaniglia.
Impressionano l’acidità scatenata e una beva vorace, sospinte dall’esplosività di aromi e profumi.
Finale tanto lungo quanto ghiotto.

I tre vitigni appena citati (Vermentino, Pigato e Moscatello) si trovano riuniti nel Lucrezia, un passito di solido valore narrativo, esplicitato nella stessa etichetta, impreziosita dall’opera pittorica del maestro Francesco Musante…

… la quale ospita un lungo e ben articolato racconto che ne spiega la fonte d’ispirazione, così sintetizzata nella scheda del prodotto: “c’era una volta una diciannovenne bella ed innamorata che sfidò il potente Imperiale Doria per difendere il suo matrimonio dal terribile Ius Primae Noctis; il finale della storia è tragico, ma il sacrificio della ragazza liberò tutte le donne di Dolceacqua da quella legge infausta: noi abbiamo scelto di celebrare il gesto di Lucrezia dedicandole questo speciale vino”, a sua volta legato alla festa della tipicità pasticcera di Dolceacqua, la michetta, celebrata il 16 agosto.

Si tratta di un vino ottenuto da uve appassite.
La lavorazione prevede che “le uve, raccolte a mano, vengono conferite dai soci in piccole cassette nelle ore subito successive alla vendemmia e vengono poste in un locale protetto ed aerato, così da garantire le migliori condizioni per il periodo di appassimento che si aggira intorno ai 60 giorni: successivamente le uve vengono pressate; la fermentazione del mosto inizia in acciaio per poi essere terminata in barriques, dove il vino maturerà fino all’inizio dell’estate, quando verrà imbottigliato: segue un periodo di affinamento in bottiglia di almeno quattro mesi”.

L’esito è un bouquet di miele e fiori d’arancio di rara raffinatezza, alla pari di un caleidoscopio di gusti i cui prismi riflettono nespola, albicocca essiccata, arancia candita, melata, frutta secca tostata e caramella di carruba.
La dolcezza è misurata, resa memorabile da una sottile nota torbata.
Nel finale assume importanza l’apporto dell’acidità, infondendo ulteriore equilibrio e conducendo a una beva ecumenica capace di conquistare tutti.

Chiusura doverosa con la gloria autoctona, il Dolceacqua Pini, un Rossese che prende il nome dalla singola vigna in cui nascono le sue uve, situata nel comune di Soldano, in Val Verbone: si tratta di uno dei vigneti “con maggior acclività di tutto l’areale del Dolceacqua”.

Il nome del vino “deriva dalla pineta esistente prima che la vite ne prendesse il posto; l’etichetta che rappresenta proprio i pini marittimi che caratterizzano il luogo è stata disegnata dall’artista intemelio Pino Venditti”.

Al naso si presentano in maniera parecchio intrigante sottobosco e spezie, al palato invece giungono gelso nero, sorbo, ciliegia e cioccolato al latte.
Dalla marcata impronta zuccherina, dal suo corpo elegante germoglia una beva segnata da un tannino delicato ma che fa avvertire costantemente la sua presenza.
Finale segnato da aromaticità e freschezza fruttata.

La testimonianza diretta di questo mondo enoico è resa da Fabio Corradi nel video che segue.
Info: https://maixei.it/#
Distribuzione: https://www.propostavini.com/produttori/produttore/maixei/