Menti, la grande classe del vino spontaneo volutamente declassato
Ci vuole una classe immensa per scegliere la via della Libertà ed essere disposti a pagarne tutte le conseguenze: lo fa da sempre nei territori di Gambellara nel vicentino la cantina di Menti Giovanni che pur di non farsi imporre i lacci delle denominazioni preferisce piuttosto declassare i propri vini, per non intaccarne la loro sublime irregolarità così tumultuosa e sincera da non potere tollerare le assurde regole di chi invece vorrebbe ingabbiare un prodotto vinicolo nell’aurea mediocritas delle leggi omologanti.
Le sigle che leggiamo sulle etichette infatti solitamente offrono come unica vera garanzia che un vino sotto quella denominazione non scenda mai sotto un certo livello di qualità media, ma al tempo stesso spingono a uniformare i prodotti imponendo metodi di lavorazione uguali per tutti, castrando quindi chi tende all’eccellenza fuori dagli schemi e soprattutto alla sperimentazione estrema.
Ma come si può pensare di mettere le briglie a vini selvaggi e irriducibili come quelli di Menti che nascono “da vigne coltivate con l’ausilio dell’agricoltura biodinamica”, per mezzo di “fermentazioni spontanee e stabilizzazioni naturali”?
E non si pensi che si tratti di adesioni a furori giovanili dovuti a mode attuali, perché “l’azienda Menti Giovanni fu fondata in Gambellara dall’omonimo agricoltore a fine ’800, il quale sui propri terreni di origine vulcanica coltivava uva garganega, piante da frutto, legumi e verdure per il sostentamento della propria famiglia”.
Una storia secolare dunque che passa di padre in figlio come nella migliore tradizione agreste, attraversando guerre mondiali senza perdere la voglia di crescere, aggiungendo la vinificazione sia di nettari secchi che passiti, il cui imbottigliamento inizia negli anni ’70 con i vini Gambellara, Recioto di Gambellara e Vin Santo di Gambellara.
Nel 2002 la pionieristica svolta biodinamica quando tocca a Stefano Menti affiancarsi alla conduzione dell’azienda, portata due anni dopo a iniziare il percorso di conversione biologica.
Nel 2012 l’ennesimo atto rivoluzionario e libertario, con l’uscita dal Consorzio di tutela vini Gambellara dopo un decennio di militanza attiva nello stesso, con la decisione coraggiosa di produrre soltanto vini da tavola.
Scelta premiata dal pubblico più raffinato e consapevole anche a livello internazionale, una rete di cultori attenti in tutto il globo che ha portato Menti a esportare nel mondo intero.
Tutti i vini di Menti portano l’impronta riconoscibile dei terreni collinari di origine vulcanica a Gambellara in cui sono coltivati i vigneti.
Come pietra angolare della produzione di Menti eleggiamo il Monte del Cuca, “vino arancione, fermentato con le bucce, imbottigliato non filtrato dopo un anno di riposo sui propri lieviti”, da sola uva Garganega fatta “fermentare con lieviti spontanei sulle proprie bucce” che poi “sosta in vasche di cemento con i propri lieviti per un periodo di almeno un anno”. Al naso arrivano lievi sentori fruttati, mentre il palato si inebria di alloro, litchi e ribes giallo. L’ acidità è importante ma ben controllata, mentre la beva è scorrevole malgrado l’imponenza del corredo organolettico.
Un vino da assimilare al Riva Arsiglia, ancora da sola Garganega, la cui “fermentazione avviene totalmente con lieviti naturali e senza il controllo della temperatura”, per poi rimanere “fermo in vasca con i propri lieviti per almeno un anno” ed essere imbottigliato senza stabilizzazioni. Rispetto al precedente la beva è ancora più agile, mentre i sentori di frutta virano su pera e mela, con una nota di miele su cui si innesta un’interessante sapidità.
Per le bollicine il metodo classico della casa è Omomorto Dosaggio Zero Millesimato da un uvaggio 97% Durella e 3% Garganega, il cui segreto risiede nell’aggiunta di mosto di Albina che è l’uva Garganega passita. Ne derivano profumi fioriti che inducono al luppolato, mentre in bocca si alternano pesca, ananas e cedro. Materico, è un vino da mordere. Malgrado l’importante azione dei lieviti, mantiene una freschezza sottesa che illumina il sorso.
Bollicine più estreme nel Roncaie sui Lieviti, “vino frizzante, col fondo, fermentato e rifermentato con lieviti indigeni” da Garganega in purezza, anche in questo caso con aggiunta di mosto di Albina: potente qui l’esplosione aromatica che però ancora una volta non rinuncia alla freschezza, esprimendosi nel segno della complessità mettendo insieme sensazioni di panificazione con la densità della frutta matura e qualche nota di canditura.
Palma del più spiazzante per lo straordinario Vin de Granaro, “vino dolce balsamico, fermentato ed affinato in caratelli di legno per dieci anni, imbottigliato non filtrato” che vede le uve di Garganega “appese manualmente alle travi con il sistema vicentino chiamato picaio, nei locali di un’antica torre del 1700 ben arieggiata per un periodo di circa 6 mesi”…
… mentre “dopo l’appassimento le uve vengono caricate intere in pressa, pressate ad una forza massima di 2 bar continuativa per 8 ore”, per passare alla fermentazione “con lieviti indigeni e senza aggiunte di solfiti in caratelli di rovere non tostati e posti in granaio” dai due ai sei anni, fino a quando “il vino risulta positivamente ossidato e balsamico”. Qui il sorso è tutto una sorpresa, dove l’effetto balsamico si fa sentire già nel bouquet che restituisce l’atmosfera della passitaia, mentre il palato gode di frutti canditi, cereali maltati e fichi dottati secchi, con una nota di carruba.
Ci siamo fatti raccontare questa esemplate vicenda di vita contadina e produzione virtuosa da Stefano Menti, nel video che trovate qui sotto.
Info: https://www.giovannimenti.com/
Distribuzione: http://www.propostavini.com/ricerca-prodotti/?q=Giovanni+Menti